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Scene da un matrimonio (quello tra la formazione per le aziende e il cinema): il posto delle fragole

Scritto il 27 Agosto 2020

Il tema dell’utilizzo di un’opera cinematografica nella didattica formativa, in particolare nella formazione manageriale e dei collaboratori delle aziende tout court, è letteralmente esploso negli ultimi anni (si pensi a master formativi, seminari, workshop, webinar, eventi/convention aziendali ecc. dove video tratti da film sono praticamente sempre presenti): vista la crescente complessità delle “location” (Ambiente) in cui “recitano” le organizzazioni, i Formatori hanno infatti trovato sempre più accattivante e utile l’impiego di movies (non sempre per forza di eccezionale valore artistico, n.d.a.) per descrivere, in modo dettagliato, argomenti collegati alla vita aziendale, in particolare sul lato delle dinamiche di team e della necessità di (Intelligente ed Emotiva) Leadership per gestirle, con lo scopo di ispirare le Persone al Change Management necessario per portare (o riportare) l’Azienda ad una maggiore efficienza ed efficacia.

Oggi desideriamo trattare l’argomento del bilanciamento tra il tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla vita privata, un elemento di importanza sempre più cruciale sia per i giovani alla ricerca del primo impiego (ah, i millennials!) sia per le per le persone già presenti nelle aziende. Il “dilemma” del bilanciamento tra vita professionale e vita privata viene molto sentito da alcune grandi aziende (certo, in primis quelle più illuminate e lungimiranti) che quindi organizzano per i loro manager delle sessioni formative ad hoc, dove per fomentare interesse e forte tensione sull’argomento spesso viene proiettato durante la docenza un film del 1957 (capolavoro assoluto peraltro della storia del Cinema, n.d.a.), il cult “Il posto delle fragole” del grande regista svedese Ingmar Bergman.

Ecco una sinossi ed analisi del film.

ll professor Isak Borg viene insignito di un prestigioso premio accademico in qualità di illustre batteriologo e dovrà recarsi a Lund per ritirarlo. La sua giornata inizia però con un incubo: egli si trova solo in una città sconosciuta dove gli orologi sono privi di lancette. Un uomo cade a terra afflosciandosi su se stesso e un carro funebre cozza contro un lampione facendo cadere sul selciato la bara che trasporta. Si vede una mano afferrare il professore per il braccio, tirandolo a sé ed egli riconosce nel volto del morto il proprio viso. Al risveglio, dopo aver chiesto la colazione alla governante, decide di non affrontare il viaggio in aereo bensì in automobile e la nuora Marianne si offre di condividere il viaggio con lui.

Durante il viaggio Marianne rimprovera al suocero l'avarizia nei confronti del figlio medico Evald. Una deviazione dell'itinerario conduce i due alla casa dove Isak era andato in vacanza per vent'anni, con nove tra fratelli e sorelle e dove il vecchio professore si lascia letteralmente travolgere dai ricordi. Rivede come in sogno la cugina Sara, da lui un tempo amata, intenta in un giorno di festa a raccogliere le fragole per lo zio Aron: Isak ha rivisto dunque il posto delle fragole, in campagna, e questa evocazione gli trasmette fortemente la sensazione del tempo perduto (la fragola in Svezia peraltro simboleggia proprio la primavera e l’adolescenza, n.d.a.).

Lungo l'itinerario Isak ritrova la casa della mamma ultranovantenne e, dopo essersi riforniti di benzina e aver pranzato in una trattoria,  la vanno a trovare. L'anziana donna, ancora vivace malgrado l'età, mostra a Isak e a Marianne vecchi giocattoli e vecchie foto lamentandosi per la solitudine di cui soffre malgrado il cospicuo numero di nipoti e pronipoti.

Dopo la breve visita, si rimettono in viaggio e, mentre Marianne è alla guida, Isak si addormenta e viene colto da un nuovo incubo. Sara, giovane, lo costringe a guardare in uno specchio il proprio volto di anziano e lo informa che presto dovrà morire. Successivamente gli annuncia che sposerà Sigfrid e va in casa ad accudire il suo bambino. Isak bussa alla porta ma viene ad aprirgli un severo insegnante che lo conduce in una classe e lo interroga contestandogli le risposte e dandogli dell'incompetente. Lo accusa poi di egoismo e incomprensione e gli infligge come condanna la solitudine.

Quando il professore si risveglia dice a Marianne «Sono morto pur essendo vivo» e Marianne gli confida che i suoi rapporti con il marito sono difficili e che egli non vuole il figlio che lei attende.

Il viaggio ha finalmente termine: Marianne e Isak arrivano a casa di Evald dove trovano la governante, nel frattempo giunta in aereo. Inizia intanto la cerimonia tra gli squilli di tromba e il suono delle campane, viene letta la formula in latino della premiazione mentre Isak, che sente essere cambiato qualcosa in lui, decide di trascrivere l'esperienza di quella giornata. Durante la sera tratta gentilmente la governante, cerca di far riconciliare la nuora con il figlio e quando si addormenta ricorda ancora i momenti felici dell'infanzia e l'immagine dei genitori.

Il nodo, squisitamente bergmaniano, della nostalgia per la giovinezza ha qui uno sviluppo differente rispetto ad altre opere precedenti e anche successive del regista svedese, quasi l'autore ammettesse la possibilità di poter tornare indietro, di poter cambiare ciò che è stato. Al centro rimane, infatti, la figura del cambiamento, di una vera trasformazione, da parte di un uomo che riesce a scalfire la propria maschera di indifferenza poco prima di addormentarsi per sempre: straordinariamente efficaci e mai così chiare, nella loro simbologia freudiana, le sequenze dei sogni-incubi.

Come si può facilmente evincere i contenuti del film svedese sono molto profondi, ma “hot” e riproducibili ai giorni nostri: ecco perché durante la formazione vengono ripresi e discussi per far riflettere i partecipanti sull’importanza di un buon equilibrio del tempo e dell’energia dedicata al lavoro e alla vita privata, generalmente famigliare, per un buon bilanciamento emotivo nella gestione dei ruoli aziendali. Non bisogna mai dimenticare infatti che l’energia richiesta alle Persone per svolgere con efficacia i ruoli precipui ricoperti in azienda (capo, collega, collaboratore ecc.), come nella vita privata (moglie, marito, figlio, genitore ecc.) ha bisogno continuamente di ricariche, per ottenere appunto un buon equilibrio tra ciò che viene consumato e ciò che si riceve in cambio. Il messaggio in sintesi è questo: per prevenire le crisi personali gli esseri umani devono poter suddividere l’energia, devono cercare di mantenere un equilibrio costante tra ciò che danno/consumano e ciò che ricevono, sia nella vita professionale che nella vita privata. I primi attori (sic!) che devono sapere interpretare e leggere i segnali di malessere sono proprio i manager, soprattutto i senior manager, sia per loro stessi (self coaching) che per gli altri, visto la loro grande responsabilità di guidare e influenzare il tempo dei propri collaboratori.

In conclusione vogliamo evidenziare che non è un caso dunque che al “work life balance” le aziende stiano consacrando sempre più attenzione, più programmi (si pensi a certi benefit nei piani di Welfare aziendale), idonei a garantire una buona e crescente retention del personale. I benefici di questa politica del personale sono lapalissiani, sia per per le aziende che riescono ad ottenere prestazioni migliori dai collaboratori sia per le persone che riescono a gestire più efficacemente i loro impegni, provando una certa gratitudine verso l’azienda che li ha supportati;  in concreto tali benefici reciproci possiamo riassumerli ad esempio in: forte coinvolgimento (engagement) e quindi riduzione del turn over, minore stress, riduzione assenteismo, miglioramento dell’immagine aziendale…vi pare poco?

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