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LAVORATORI FRAGILI COVID 19: FACCIAMO CHIAREZZA NEL CAOS NORMATIVO

Scritto il 19 Novembre 2021

Dall’inizio della pandemia, nel marzo 2020, si è vista una produzione normativa incessante, con pochi precedenti e, peraltro, intervenendo sotto molti punti di vista; tra questi non fa certo eccezione la regolamentazione d’emergenza per tutelare i soggetti più esposti al rischio di sviluppare complicanze gravi (e serie) in caso di contagio da COVID-19, appunto, i lavoratori fragili.

 

Lavoratori fragili: chi sono?

Due anni molto complessi, impossibili da dimenticare, tra privazioni della socialità, crisi economiche e cali di lavoro: ma, se è vero che la salute viene prima di tutto, c’è chi l’ha passata peggio.
Con un virus pandemico terribilmente democratico, che non ha guardato in faccia nessuno, è stata molto dura per tutti quei soggetti già portatori di altre patologie (si pensi, in modo esemplificativo ma non esaustivo, ai malati oncologici, ai diabetici o agli immunodepressi).
Ecco, allora, che il Legislatore individua per la prima volta all’articolo 26, D.L. 18/2020 (battezzato, dall’allora premier Giuseppe Conte, Decreto Cura Italia) la categoria dei lavoratori fragili, in piena coerenza col principio di uguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, comma 2, Costituzione, secondo cui bisogna fare in modo che tutti siano messi in pari condizioni, tenendo conto della posizione sociale, economica o, in questo caso, sanitaria (insomma: un vero e proprio baluardo dello stato sociale disegnato dai nostri padri costituenti).
I lavoratori fragili vengono così definiti:

  • lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ivi inclusi i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992 del 5 febbraio 1992.

Ma v’è di più. Infatti, questa ampia descrizione (che, ad avviso di larga parte di dottrina, è anche troppo vaga) non include molte categorie di soggetti maggiormente esposti al rischio di complicanze gravi.
Ed ecco, allora, che la definizione sopra esposta deve essere letta congiuntamente alla circolare n. 14915/2020 del Ministero della salute, che, di fatto estende l’area di “inquadramento del lavoratore fragile” fino a ricomprendere una serie più ampia di patologie che comportano il riconoscimento delle tutele connesse allo status di fragilità.

Pertanto, alla luce di questa circolare ministeriale:

  • le malattie croniche non trattate con farmaci immunosoppressori a carico dell’apparato respiratorio, dell’apparato cardio-circolatorio;
  • il diabete mellito e altre malattie metaboliche;
  • l’insufficienza renale/surrenale cronica, ma anche le patologie associate a un aumentato rischio di aspirazione delle secrezioni respiratorie (ad esempio, malattie neuromuscolari);
  • le epatopatie croniche;
  • le patologie per le quali sono programmati importanti interventi chirurgici, sono tutte da considerarsi come patologie determinanti la condizione di fragilità, facendo sorgere in capo alla persona portatrice una serie di tutele giuslavoristiche (di cui parleremo tra poco).

Alla luce di tutto ciò, possiamo quindi esporre un elenco esemplificativo (ma non esaustivo) di patologie che possono determinare la condizione di fragilità:

  • malattie croniche a carico dell'apparato respiratorio (incluse asma grave, displasia broncopolmonare, fibrosi cistica e broncopatia cronico ostruttiva – Bpco - enfisema bolloso);
  • malattie dell’apparato cardio-circolatorio, comprese cardiopatia ipertensiva e cardiopatie congenite e acquisite;
  • diabete mellito e altre malattie metaboliche (inclusa obesità con BMI > 30);
  • insufficienza renale/surrenale cronica;
  • malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie;
  • tumori di qualsiasi genere;
  • malattie congenite o acquisite che comportino carente produzione di anticorpi, immunosoppressione indotta da farmaci o da Hiv;
  • malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinali;
  • patologie associate a un aumentato rischio di aspirazione delle secrezioni respiratorie (ad esempio, malattie neuromuscolari);
  • epatopatie croniche;
  • patologie per le quali sono programmati importanti interventi chirurgici;
  • deficit cognito-comportamentali tali da limitare il rispetto dell’uso di DPI, distanze di sicurezza e/o igiene delle mani.

 

Articolo estratto da Strumenti di Lavoro 11/2021 - Euroconference Editoria

 

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